Questo racconto che avevo documentato nelle mie memorie, descrive i sogni o meglio, le ambizioni di una generazione adolescente, nata forse nel luogo sbagliato. La descrizione della forte incompatibilità tra il vecchio e il nuovo, tra i figli e i genitori, tra una mentalità e l’altra; tra una sorta di volontà nel cambiare le cose, e quella di lasciare tutto alla continuità, di sempre. Parlo di quella: “continuità” che teneva tutti noi, ben stretta nelle sue mani. Il luogo dove si svolge tutto ciò è quello cui, sono nato. Capri, l’isola isolata; conosciuta ovunque nel mondo come una lacrima “dell’onnipotente”, caduta per puro caso, nel mar Tirreno. La sua bellezza è nota ed è imparagonabile con qualsiasi altra parte, di questa terra. Malgrado la sua fama internazionale l’isola; era almeno in quegli anni e forse ancora oggi, rimasto un paesino di provincia. I giovani, le loro idee, la loro volontà di cambiare proponendo innovazioni, adattando ogni cosa alle loro esigenze, entrava in forte contrasto con tutto ciò che era ben incastonato, in quel sistema arcaico, intessuto da secoli nella cultura isolana. Questa storia mette in risalto non solo le difficoltà ma, le differenze venute a crearsi con chi invece definiva, il “nuovo” come una maledizione biblica. Il caprese tipo, ha sempre visto la passione per la musica anzi, per l’arte in genere, con riluttanza ed un innato scetticismo. Le vecchie generazioni, quelle nate soprattutto sia prima che durante il secondo conflitto mondiale, imponevano ai loro figli, nel seguire la loro stessa sorte; imparando se fosse stato possibile, un mestiere oppure prendere il ben noto: “posto nella SIPPIC”. La sistemazione ambita dalle famiglie capresi.